Uno squilibrio tra ricchi e poveri è la malattia più antica e più fatale di tutte le nostre società.

Questa spietata diagnosi, scritta da Plutarco quasi duemila anni fa, resta ancora di stretta attualità. E le povertà sanitarie rappresentano oggi un termometro non trascurabile nella complessa analisi della ineguale distribuzione delle risorse tra le diverse fasce di popolazione.

Nonostante la forte impronta universalistica del nostro Servizio Sanitario Nazionale, parte consistente delle cure resta drammaticamente a carico dei cittadini. Tanto che sempre più persone non hanno accesso alle terapie: per ragioni economiche – sono oltre 3 milioni i cittadini che rinunciano alle cure perché non possono permettersele – ma anche perché non conoscono i loro diritti e le possibilità di richiedere aiuti.

Per la Chiesa, come ha affermato Papa Francesco, “I poveri sono persone a cui andare incontro. È necessario, soprattutto in un periodo come il nostro, rianimare la speranza e restituire fiducia. È un programma che la comunità non può sottovalutare. Ne va della credibilità del nostro annuncio e della testimonianza di Cristiani”.

I professionisti sanitari e sociosanitari sono chiamati a essere garanti e artefici dei diritti dei cittadini: il diritto alla salute, innanzitutto, il diritto all’uguaglianza, il diritto stesso a vedersi garantiti i princìpi fondamentali e inviolabili.

In questo convegno, promosso dalla CEI con il sostegno di tutte le Federazioni degli Ordini e Consigli nazionali delle professioni sanitarie e sociosanitarie, si intende dunque interrogarsi su quante e quali siano le povertà sanitarie oggi in Italia; ma al contempo si vogliono avanzare e suggerire proposte, idee, azioni di contrasto a tali fenomeni.

Preoccupa il fatto che la salute sia sempre più diseguale e vada di pari passo con il crescere della povertà economica. Ma anche povertà di relazioni, di prevenzione, di educazione alla cura, di senso della comunità e del territorio.

Preoccupano, poi, gli effetti che la pandemia ha avuto sulla salute delle persone: direttamente, ma forse ancor più indirettamente, in termini di divari sociali.

Preoccupa infine, prendendo a prestito un termine recentemente usato da Papa Francesco, la aporofobia, una parola greca che vuol dire “disprezzo del povero”.

Come se la nostra società avesse dimenticato il lucido e inappellabile motto di Madre Teresa di Calcutta: “Ama il povero, perché è povero al tuo posto”.

 

Share This